“Nemo propheta in patria (sua)” oppure anche “nemo propheta acceptus est in patria sua” è una espressione latina che significa: “Nessun è profeta nella (propria) patria. L’espressione indica la difficoltà delle persone di emergere in ambienti a loro familiari; in ambienti estranei viene generalmente assunto che sia più facile far valere le proprie capacità e qualità. Secondo gli evangelisti, queste sono anche le parole pronunciate da Gesù di Nazareth per condannare la mancanza di ospitalità ricevuta dalla gente della sua città natale, Nazareth. Sembra che lo stesso valga anche per il “rivellino” del Castello di Locarno.
La prima notizia che parla a Locamo di un castello, risale al 998. Nel 1156 tale castello iniziale fu interamente distrutto dai “Milanesi”. Venne ricostruito un secondo castello – il perimetro attuale – nel dodicesimo secolo su resti del primo. Nel 1340 Luchino Visconti fece ampliare la costruzione originale. Nel 1500 il castello arrivava fino all’odierna “rotonda stradale” e le mura raggiungevano il convento. Nel 1532 i Confederati, ormai signori del baliaggio di Locarno, decisero di demolire gran parte del castello conservando però il palazzo residenziale ed un imponente elemento difensivo chiamato “rivellino” – che spiegheremo più sotto l’importanza – di più recente costruzione. Fino al 1798 il castello fu la residenza del landfogto. Nel 1803 il castello divenne proprietà dello Stato e subì altre modifiche dopo quelle registrate nel 1532. Le autorità del Canton Ticino lo utilizzarono come pretorio, sede di uffici amministrativi, del governo e anche prigione. Nel 1910 altri lavori distrussero parte dei ruderi e quello che rimaneva del porto. Solamente all’inizio del 1900 s’iniziava a riconoscere il valore storico del castello. Grazie agli studi dello storico dell’arte Hans Rudolf Rahn, di Emilio Motta e all’opera legislativa promossa dall’architetto Augusto Guidini fu possibile nel 1907 all’architetto Cornaz di fare una prima pianta archeologica completa. Seguirono altri studi di architetti, anche se nessuna analisi militare delle mure venne fatta. Nel 1921 il castello venne venduto dal Cantone al comune di Locarno, e grazie all’allora sindaco Francesco Balli, si ebbe una promossa per il restauro del castello.
Il castello, perlomeno come si presentava attorno al 1500 faceva parte di una considerevole installazione militare. Tanto che diverse cantine di abitazioni di Locarno, Muralto e Minusio sembra fossero un tempo collegate fra loro, addirittura dalla zona del castello si poteva tranquillamente arrivare al Castello di Muralto, come pure a Minusio Rivapiana, fino alla Ca’ di Ferro. La prova è l’esistenza tutt’oggi di qualche cunicolo, come pure il fatto che vecchie mura sono visibili in più zone della città. Addirittura nei pressi del castello c’è un vero e proprio labirinto di sotterranei incredibilmente vasti. Cunicoli che si aprono in spazi larghissimi a ridosso del castello e di Casorella. Se ne parlò, per la prima volta, quasi cent’anni fa, tra la fine del 1920 e l’inizio del 1930.
Solamente nel 2002 grazie agli studi di Marino Viganò – nostro caro amico, assoluto specialista della realtà storica ticinese, e sul quale abbiamo già scritto a proposito di Pietro Morettini – si iniziò a quantificare storicamente una parte della costruzione difensiva del castello. Fu proprio Marino Viganò, concentrandosi sul “rivellino”, permise di datare al 1507 la sua costruzione, identificando in Charles II d’Amboise, seigneur de Chaumont, grand maître e luogotenente generale per Luigi XII di Valois-Orléans, re di Francia, duca di Milano il mandante dell’opera difensiva. Viganò seppe anche contestualizzare l’aspetto strategico di questa costruzione, legandolo alle vicende delle «guerre milanesi».
Tanto che il “rivellino” di Locarno, costruito molto rapidamente, dal giugno 1507 al maggio 1508, venne eretto per parare l’invasione di Massimiliano I d’Absburgo, re dei Romani, col sostegno dei Cantoni elvetici e delle Leghe grigie. Fu nuovamente Viganò a stabilire con certezza scientifica l’origine del rivellino.
Il «Rivellino» del castello di Locarno è un bastione per artiglierie, sia a cielo aperto, sia in casamatta, e cioè in galleria. Di pianta pentagonale, con due facce, due fianchi – uno dei quali incassato in una rientranza nel maniero medievale – e una gola rivolta alla parte più antica della fortezza, alto sul livello del lago in origine circa 18 metri, riflette, con caratteristiche assai evolute, il genere di fortificazioni ideate e sperimentate in Italia centrale e meridionale fra il 1470 e il 1503.
Marino Viganò, studioso e storico
L’Accademia di architettura di Mendrisio eseguì un rilievo del manufatto con la tecnica del «laserscan» creandone un modello tridimensionale. In questo modo fu possibile accertare la complessa struttura, della quale scrivevamo sopra. Sulla scorta di queste nuove conoscenze le autorità della città di Locarno decisero di acquistare il sedimento attuale del rivellino. Ma improvvisamente la storia finisce attualmente in un impasse.
Nel 500 anniversario della morte di Leonardo da Vinci, 2019, si persiste a fare poco da parte delle autorità comunali. Non esistono progetti, ancor meno visite guidate o perlomeno una specifica segnaletica che possa sfruttare appieno il potenziale dato dal fatto che Leonardo, nella sua vita frenetica, fu comunque presente a Locarno. Questo è ciò che intendiamo con il titolo di questo articolo.
PS. Questo breve articolo si integra nella nostra serie di contributi sui castelli della regione insubrica: Cannobio, Ascona, Gordola, e Magadino.