Durante Venerdi 25.9 e Sabato 26.9 abbiamo avuto la possibilità di partecipare ad un evento organizzato dalla Fondazione Monte Verità, con il sostegno dell’associazione Antenna Ticinese dei Verbanisti e Insubrica Historica. Il duplice evento ha permesso di mostrare – in prima esclusiva Locarnese – la pellicola restaurata “The Last Chance” e discutere su come la tematica dei rifigiati nel contesto Ticinese sia cambiata dal 1943 al 2020.

L’evento si è aperto venerdi sera con la proiezione del film “The Last Chance”. Una versione restaurata da parte della Cinémathèque Suisse di Losanna. La pellicola è stata presentata da Raphael Rues, il quale si è soffermato brevemente sulle tre principali figure che hanno portato alla realizzazione del film: Richard Schweizer sceneggiatore, Leopold Lindtberg regista e Lazar Wechsler produttore.
Un trio di “schock” appartenente alla casa di produzione Praesens Film, e che nel 1940-1950, realizzò i maggiori successi cinematografici elvetici. Per esempio premiati con Oscar i film Marie-Louise e The Search. Alla proiezione vi erano 35 persone.
Il film viene girato nel Locarnese, in particolare le prime scene del film nel delta del fiume Maggia ad Ascona. Sono riconoscibili le montagne del Gambarogno, il Monte Limidario ma ancora la montagna del Monte Borgna sopra Pino, che diventerà più tardi la diga del Lago Delio. Vi sono anche attori ticinesi, quasi tutte comparse. Fra gli attori svizzeri vi è Leopold Biberti, Asconese di adozione, a quel tempo domiciliato in Via Ferrera.
La realizzazione della pellicola non fu facile, iniziata nel 1943 venno portata a termine solo alla fine del 1944. Diversi furono i problemi legati al fatto che chi gestiva i rifugiati fossero dal 1939 le autorità militari elvetiche. Ciò nonostante la pellicola rimane uno dei primissimi esempi di film neorealista continentale, e precede addirittura film come: Berlino Anno Zero (Roberto Rossellini) e il Ladro di Biciclette.
L’immagine dell’accoglienza data ai rifugiati è molto positiva, sicuramente 75 anni dopo, abbastanza esagerata nel positivo. Ci troviamo come contenuto quasi all’opposto di quello che quasi 40 anni dopo fece Markus Imhof con il suo film “Das Boot ist voll“. Ciò nonostante la pellicola mostra anche (seppur indirettamente) diversi crimini di guerra nazisti. Vi è la fucilazione del parroco che ha ospitato i rifugiati e partigiani, l’eccidio della popolazione di un paese di montagna, l’inseguimento dei rifugiati con l’uccisione di due di questi ed infine la delazione di un fascista.
Sono questi secondo noi gli aspetti principali della pellicola. In questo frangente, 1943-1945, si arriva ad avere una testimonianza che ripercorre quanto effettivamente avvenne durante il periodo nella vicina Ossola, pochi km di distanza dal pacifico Ticino. Senza l’intervento della censura militare elvetica avremmo avuto un vero capolavoro di Resistenza.

Il sabato mattina ci siamo ritrovati alle 11h00 per una tavola rotonda, dibattito moderato dalla giornalista RSI Brigitte Schwarz. Sono intervenuti: Marino Viganò, Pietro Majno Hurst, e Raphael Rues. Un dibattito durato poco più di un ora. Nell’occasione abbiamo potuto ascoltare due significativi interventi trasmessi per video del novantenne Edoardo Sacchi, ex-partigiano e testimone di eccellenza dell’accoglienza ai rifugiati civili e partigiani durante il periodo 1943-1945.

È stato un dibattito molto interessante. Viganò e Rues si sono occupati di fornire il contesto storico agli eventi. Un contesto che non risulta facile da decifrare, e che in certi modi va ben oltre la competenza di uno storico, che non è certamente quella di essere il giudice del periodo. Ci si deve piuttosto limitare al ruolo di sapere e capire. Sapere è una cosa difficile dato che nel contesto dei rifugiati le fonti storiche sono molto frammentarie e ben lontane dall’essere complete. Capire è probabilmente ancor più difficile, dato che immedesimarsi nella difficoltà del momento è impossibile, e quindi si ha la tendenza a giudicare gli avvenimenti da una posizione quotidiana, sfasata per antonomasia.

Significativo per esempio l’intervento di Marino Viganò durante il dibattito, il quale ha illustrato come vi sia una grande incertitudine sul numero di respinti e respingimenti alla frontiera. Come considerare una persona che viene respinta 3-4 volte e poi riesce ad entrare ? Da una persona che invece rimane per settimane in attesa di poter entrare, oppure ancora il caso dell’attuale Senatrice a vita Liliana Segre, che viene addirittura respinta e de facto consegnata ai nazisti, per poi sopravvivere ad Auschwitz ?

Importante nel dibattito è stata la testimonianza di Pietro Majno Hurst nell’accogliere tre rifugiati eritrei. Interessante sentire di prima persona le difficoltà incontrate per avviare la pratica di accoglienza, ospitando i tre fratelli rifugiati nella loro casa a Ginevra. Cavilli e ostacoli burocratici, con una sola persona responsabile di trattare migliaia di domande. Cosa rimane dalla testimonianza di Majno Hurst è soprattutto la responsabilità morale e etica che ognuno dovrebbe avere in confronto di altri, e soprattutto di rifugiati che hanno alle spalle delle vere odissee di vita e di viaggio. Solamente così si può iniziare ad avere un migliore mondo.

da destra Anna Rues (2015), Adriana Candolfi-Rues (1943), e Raphael Rues (1967)