Dalla primavera 2022 Insubrica Historica organizza il “Trekking del Contrabbandiere” . Un trekking nato dalla volontà di permettere alle persone interessate di rivivere un importante momento storico, neanche tanto remoto. È un percorso che porta a riflettere e mostra come la situazione bellica della Seconda Guerra Mondiale abbia ampiamente toccato la regione con il Locarnese.
In uno degli scorsi trekking fatti durante l’agosto 2022 abbiamo potuto contare sulla presenza di Carlo Bava. Carlo nato a Cannobio nel 1955 è un nostro carissimo amico che conosciamo da tempo. Una persona poliedrica che oltre ad essere stato medico di famiglia fino all’aprile 2021, è anche rinomato musicista e realizzatore di documentari per la televisione italiana. Carlo dispone di una solida esperienza pluriennale nell’ambito delle arti grafiche. Il risultato del suo lavoro per Insubrica Historica lo potete ammirare qui sotto in questo breve filmato.
L’eccezionalità del lavoro di Carlo per Insubrica Historica è anche data dal fatto che suo padre (Delfino) e suo zio (Luigi), proprio nel 1944, passarono dagli stessi sentieri che l’attuale trekking proposto da Insubrica Historica. Qui un breve passaggio sulla loro esperienza in questo impervio tratto di confine, attraversato a fatica durante il periodo dell’occupazione nazi-fascista della regione dell’Ossola:
Fazzoletto rosso al collo e stella alpina ricamata sulla camicia: un partigiano, privo di sensi. Il pantalone di destra squarciato e intriso di sangue. Qualcuno toccò: era vivo. L’idea che una scala da vigna, trovata tra i filari di uva americana passati poco prima, potesse improvvisarsi barella costrinse Luigi a ritornare, per un tratto, sui suoi passi.
L’imprevisto carico rallentò la salita, ma non impedì comunque ai due di raggiungere in poche ore Olzeno, dove il moribondo fu affidato alle cure del comando partigiano. La via della salvezza stava lì, davanti a loro, ma ancora lontana: Gridone e Limidario segnavano, un poco minacciosi nella luce del mezzogiorno, la linea di confine con la Svizzera.
Giunti alla sommità del Limidario tutto parve più distante: la paura, la guerra, i fascisti. La forza purificatrice della montagna, in un crepuscolo che si annunciava tiepido, dava l’illusione di una sosta dolce, senza tempo. Sì, un’illusione: prima di notte c’era da sconfinare, piangere, singhiozzare come bambini per trovare la forza di lasciare la cima e scendere. Quella montagna, spartiacque geografico tra Cannobina e Centovalli, diventava in un lampo lo spartiacque della vita:
lasciare da un lato la casa, le cose, gli affetti e scegliere dall’altro solitudine e ignoto.
Ma anche la salvezza. Un gruppo di baite dall’aspetto tranquillo e senza presenze sospette, sembrò premiare la discesa, non agevole nella poca luce. Erano in Svizzera, Paese neutrale, ma non ancora aperto ad accogliere profughi di guerra: se individuati, la gendarmeria svizzera li avrebbe riaccompagnati al confine. Con le conseguenze drammatiche del caso. Le possibilità di sopravvivenza stavano dunque nella capacità di nascondersi a quel mondo il più a lungo possibile: il tempo forse, avrebbe spinto i potenti a ritrovare quel briciolo di umanità da troppo perduta.
La scelta del rifugio non fu casuale, decisero per una stalla con maiali e pecore. Dentro, oltre a una grossa riserva di fieno, ottimale come nascondiglio, ci stava una certa quantità di castagne secche e pastone per maiali. Nei giorni, lenti a seguire, pastone e castagne furono il companatico dei due, a scapito della dieta dei maiali che un pastore ogni due giorni andava ad accudire: faceva ribollire l’abbondante pasto in un grosso caldar, sul focolare fuori della stalla.
Un mattino, però, inspiegabilmente cominciò a lasciare sul davanzale della piccola finestra dai vetri rotti, cibo per cristiani: formaggio, pane e una piccola fiasca di americanino. Il rituale continuò regolarmente e misteriosamente per giorni e giorni, finchè in un pomeriggio bagnato dal primo autunno l’uomo, in compagnia di un ragazzo, arrivò alla stalla gridando. Non urla minacciose, ma l’invito gioioso a farsi vedere, a comparire: “Saltì fora, saltì fora! Non nascondetevi! Le cose sono cambiate. Ora potrete rimanere in Svizzera”!
Fu evidente che, a pochi giorni dal loro ignoto arrivo, il pastore avesse cominciato a nutrire qualche sospetto sull’eccessivo appetito degli animali, smisurato rispetto al solito. In breve tempo maturò la consapevolezza che qualcuno stesse sopravvivendo grazie al suo pastone. Non ne seguì, però, una denuncia alla polizia confinaria per sospetta presenza di clandestini. Ma pane grigio casereccio, formaggio d’alpe e vino nostrano, lasciati su un davanzale, come fiori freschi.
Espressione di generosità incondizionata. La pietas degli Antichi Padri. Gli alpigiani erano Giacomo Baccalà e il figlio Claudio.
L’alpe, il Cortaccio sopra Brissago. Delfo e Luigi furono, quindi, profughi di guerra fino a maggio/ giugno del quarantacinque. Ebbero diverse destinazioni: Balerna, Lucerna, Losanna, Rarogne, Locarno. Il paltò, infilato di furia nello zaino, fu una benedizione nel freddo inverno vallesano.
Delfo aveva un amico d’infanzia: il suo compagno di banco a scuola, anche lui un ragazzone. Fu prelevato in quei giorni e internato in un campo di sterminio. Non tornò mai più. Il partigiano riuscì a sopravvivere e continuò la sua lotta, ignaro di chi lo avesse salvato. Claudio Baccalà lasciò un importante segno nella storia come passatore e, nella vita, fece l’artista a Parigi. Luigi ebbe sei figli. Delfo tre. Delfo era mio padre.
Carlo Bava, Verbania luglio 2019
Grazie ancora di cuore Carlo per il tuo bellissimo lavoro!