Abbiamo già avuto modo nel passato di scrivere su questo importante capitolo della guerra civile in Italia, in particolare con questi due contributi: 8 settembre 1943 e Benito Mussolini pilota nei cieli del Lago Maggiore. Ritorniamo in maniera più esaustiva, proponendovi la versione italiana di un contributo che abbiamo recentemente pubblicato sul Blog del Museo Nazionale Svizzero. Vi auguriamo una buona lettura!

Il conflitto della Seconda guerra mondiale porta con sé anche una moltitudine di miti su singole operazioni. Una delle storie più fantasiose è probabilmente quella che ebbe luogo il 12 settembre 1943 sul Gran Sasso in Abruzzo, nell’Italia centrale. Il dittatore fascista Benito Mussolini, imprigionato da diverse settimane dopo essere stato deposto come capo di Stato il 25 luglio 1943, fu improvvisamente liberato da un commando di SS guidato dall’SS Hauptsturmführer Otto Skorzeny. Per questo atto “coraggioso”, la quale falsa narrazione persiste fino ad oggi, il famigerato Skorzeny è entrato nella leggenda.

Albergo Campo Imperatore sul Gran Sasso, Abruzzi, fotografato nel corso dell’operazione che libera-cattura Benito Mussolini il 12 settembre 1943. Fonte: Bundesarchiv

Dopo 80 anni, la storia dell’operazione Gran Sasso appare molto diversa. Per la Svizzera, questa storia è estremamente interessante, dato che l’ufficiale tedesco che liberò effettivamente Benito Mussolini era quasi uno svizzero, nipote di un famoso politico vodese/romando, cresciuto a Prilly VD e andato a scuola a Losanna fino all’età di dodici anni.

Quattro dei dieci alianti che atterranno sul Gran Sasso, nel sottofondo l’albergo dove era rinchiuso Benito Mussolini. Fonte: Bundesarchiv

Esaminiamo la vera storia, data la chiarezza delle fonti di archivio oggi disponibili. L’azione del 12 settembre 1943 è una diretta conseguenza del 25 luglio 1943, giorno in cui il Gran Consiglio Fascista ottenne la deposizione di Benito Mussolini da capo dello Stato con l’Ordine Grandi. Lo stesso Dino Grandi, da tempo fascista hardliner, ebbe già a suo tempo molto a che fare con la Svizzera ed in particolare con la regione insubrica. Dino Grandi, fu uno dei delegati alla conferenza di pace di Locarno del 1925 e soggiornò persino per un mese nel Grand Hotel Locarno, oggi in procinto di essere magnificamente ristrutturato. Nel 1943 Mussolini controllava il suo partito solo a metà, la situazione militare ed economica era già disperata a luglio. Il Nordafrica era completamente perso, la Sicilia era sotto attacco da parte degli Alleati e le truppe italiane in Russia, al più tardi dalla battaglia di Stalingrado, erano in ritirata o in fuga.

Benito Mussolini davanti all’albergo, al momento della sua liberazione-cattura il 12 settembre 1943. Fonte: Bundesarchiv

L’estate del 1943 vide quindi un cambiamento politico in Italia dal governo fascista di Mussolini, che fu rapidamente imprigionato, ad un governo militare ad interim sotto il comando del maresciallo Pietro Badoglio. La situazione militare ed economica continuava a precipitare. Gli Alleati esercitarono una forte pressione, tanto che dopo i pesanti bombardamenti dell’Italia settentrionale, in particolare di Milano (vedi nostro contributo su Leonardo Da Vinci a Milano) e Torino nell’agosto 1943, tutta la Sicilia fu liberata alla fine del mese e le truppe alleate sbarcarono nella Calabria meridionale e a Salerno (Campania) all’inizio di settembre.

Quell’estate i fascisti si sciolsero come neve al sole. Si nascosero o, in pochissimi casi, fuggirono in Svizzera. Il tentativo di fuga più famoso è quello dell’amante dello stesso Mussolini, Clara Petacci (vedi la nostra ricerca in merito), che all’inizio di agosto fu temporaneamente – fino a metà settembre – imprigionata insieme a tutta la famiglia ad Arona (Lago Maggiore); stava per passare in Svizzera. Dopo l’arresto a Roma, Benito Mussolini fu portato in vari luoghi, l’ultimo dei quali fu l’albergo di Campo Imperatore (2130 m.s.l.m.) nella catena montuosa del Gran Sasso, una regione montuosa solitaria e inaccessibile degli Abruzzi, a circa 80 chilometri a nord-est di Roma.

Particolare della zona del Gran Sasso, dove era imprigionato Benito Mussolini. Fonte: Bundesarchiv.

L’8 settembre 1943 gli eventi presero una tragica piega con la dichiarazione di armistizio da parte del governo del maresciallo Pietro Badoglio. Questa decisione spaccò l’Italia in due. Chi poté fuggì a sud verso gli Alleati, il re Vittorio Emanuele III e Pietro Badoglio furono tra i primi. Gran parte dell’esercito italiano, circa 800.000 soldati, fu arrestato in un attimo dai tedeschi, deportato nel Terzo Reich o in alcuni casi addirittura fucilato. In questi giorni di settembre si verificò un grande caos, soprattutto nell’Italia centrale e settentrionale, occupata dalle truppe tedesche. Pare che il caos all’interno del governo Badoglio fosse così grande che Mussolini fu lasciato indietro sul Gran Sasso.

Generale Kurt Student nel dicembre 1943, mentre durante un ispezione al fronte di San Felice, analizza il Fallschirmjägergewehrs 42. Fonte: Bundesarchiv

I tedeschi riuscirono rapidamente a scoprire il luogo esatto della sua cattura. Il generale della Luftwaffe Kurt Student affidò la pianificazione e l’esecuzione della liberazione di Mussolini al maggiore Harald Mors, un paracadutista tedesco di origini elvetiche. Più che di una liberazione, si dovrebbe parlare di un rapimento. Mussolini sembrava stanco di vivere. Il tradimento dei suoi amici di partito del 25 luglio lo aveva colpito duramente.

L’audace piano del maggiore “svizzero” Mors è stato condizionato dalla topografia della zona del Gran Sasso, in Abruzzo. Non era possibile salire da soli con la funivia fino all’albergo di Campo Imperatore senza perdere l’elemento sorpresa. L’unica alternativa per i paracadutisti, che si sono allenati alla battaglia, era un attacco da due direzioni: l’occupazione della stazione della funivia a valle e un atterraggio aereo con dieci alianti da carico.

Maggiore Harald-Otto Mors (in uniforme chiara) mentre si congratula con un suo subalterno, il primo-tenente Berlepsch. Fonte: Bundesarchiv.

Una volta raggiunto l’albergo, Mors riuscì a liberare rapidamente Mussolini senza che le truppe italiane scoprissero la missione. Lo stesso Mussolini, le immagini del Gran Sasso parlano da sole, mostrò ben poca euforia per la sua “liberazione”. Mussolini era stanco di vivere. L’operazione di liberazione/rapimento, denominata “Unternehmen Eiche” (“Operazione Quercia”), fu pubblicizzata dai nazisti – in particolare da Himmler e Goebbels – sui media come un’impresa da eroi, e affidata interamente a Otto Skorzeny, che in realtà aveva avuto un ruolo molto marginale nell’operazione fino a quel momento. Un calcolo propagandistico per aumentare l’impatto mediatico delle truppe SS sul popolo tedesco. I paracadutisti tedeschi, invece, lottarono invano per anni per conservare per sé la tragica gloria di questa operazione.

Al centro il maggiore Mors durante le fasi terminale della liberazione di Benito Mussolini il 12 settembre 1943. Fonte: Bundesarchiv

Ma come mai Mors era uno “svizzero-vodese-romando”? Sua madre Louise Mors-Paschoud era originaria di Lutry, vicino a Losanna. Mors nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1910. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, la madre di Mors, sposata con un ufficiale tedesco, fuggì in Svizzera con parte della famiglia per evitare l’internamento da parte degli inglesi. Mors visse a Losanna fino al 1923 e frequentò tutte le scuole elementari in francese, imparando anche l’italiano in modo fluente. Fin da giovane aveva anche un grande talento sportivo. Suo nonno David Paschoud (1845-1924) fu un noto politico vodese che ricoprì diverse cariche: sindaco di Lutry (1880-1885), consigliere di Stato (1885-1889), membro del Gran Consiglio vodese (1893-1908) e presidente del Gran Consiglio del Canton Vaud nel 1907. Pur essendo un notaio di formazione, fu attivo soprattutto nella sfera economica vodese. Fu grazie a Paschoud, che venne introdotta nel Cantone di Vaud la legge sull’imposta progressiva. Nel 1889, Paschoud fu nominato responsabile del Fondo ipotecario vodese, di cui rimase direttore fino alla sua morte, avvenuta nel 1924 a Lutry.

Solo nel 1923 la famiglia Mors decise di trasferirsi a Berlino, la decisione fù il fatto che le autorità elvetiche negarono il permesso di soggiorno in Svizzera al padre di Mors, appunto ufficiale tedesco precedentemente attivo in Egitto. Nel 1934, all’età di 24 anni, Mors decise di arruolarsi nell’aviazione. Fece carriera e nel 1943 era già il comandante di un battaglione di paracadutisti. Oltre al suo ruolo nell’azione del Gran Sasso, Mors prestò servizio sul fronte orientale, in Italia e in Grecia, tra gli altri luoghi. Fu insignito della Croce d’oro tedesca per il suo coraggio e la sua leadership.

L’aeroplano Fieseler Storch (immatricolazione: SJ+LL) in procinto di lasciare il Gran Sasso con Benito Mussolini e Otto Skorzeny. Fonte: Bundesarchiv

Mors sopravvisse alla guerra e aprì una scuola di danza a Ulm nel 1949. Contemporaneamente, pubblicò in francese le sue memorie sulla vera storia dell’azione del Gran Sasso. L’accoglienza di questa pubblicazione fu ripresa anche dalla stampa svizzera, ma fino al 1954 nessuno scoprì che Mors era il nipote di David Paschoud di Lutry. Il successo economico della scuola di danza di Mors fu così modesto che Mors si arruolò nel nuovo esercito svizzero già nel 1956. Tuttavia, come rivelano i documenti d’archivio svizzeri, si trattava di una posizione fittizia. In realtà, grazie soprattutto alle sue competenze linguistiche, Mors aveva altri talenti necessari per la nuova Germania.

Mors aveva appena prestato servizio nei nuovi servizi segreti federali tedeschi (BND). Nel bel mezzo della guerra di liberazione dell’Algeria, Mors riapparve in Svizzera. Mors stesso, tuttavia, non era estraneo alla Svizzera, in quanto la Procura federale svizzera lo teneva sotto controllo come “agente dei servizi segreti” tedeschi fin dal 1957. È stato Mors che, nell’ambito dell’organizzazione terroristica OAS con il gruppo “Main Rouge – Mano Rossa”, ha compiuto attentati contro i fornitori tedeschi di armi al Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) algerino, ha visitato più volte la Svizzera e ha persino cercato di organizzare un incontro tra i combattenti di liberazione algerini e gli investigatori tedeschi a Losanna nel 1960. Si ritirò dalle forze armate nel 1965 e morì in Baviera nel 2001. Mors non divenne mai cittadino svizzero, ma il suo francese rimase quello di un francese fino alla fine.

Il ruolo di Mors nell’azione del Gran Sasso fu significativo. Fu responsabile della pianificazione dell’attacco, della selezione dei paracadutisti che avrebbero dovuto effettuarlo e della guida del secondo gruppo che mise in sicurezza la stazione inferiore della funivia ai piedi del Gran Sasso. Fu anche responsabile del coordinamento dell’attacco con le altre truppe tedesche coinvolte. Tuttavia, il suo vero ruolo è stato storicamente completamente oscurato dall’immagine di Skorzeny come mente. Il ruolo di Otto Skorzeny nell’operazione Gran Sasso è stato a lungo considerato secondario.

Correttamente, si dovrebbe parlare meno di una liberazione di Mussolini e più di un rapimento di Mussolini. La sua prima conversazione radiofonica da Monaco, il 15 settembre 1943, suona molto apatica. Mussolini stesso annunciò ufficialmente la fondazione della neofascista “Repubblica Sociale Italiana” a Salò, sul Lago del Garda, solo mesi dopo, il 1° dicembre 1943. La storia ha poi dimostrato come questa operazione abbia di fatto condotto l’Italia nel baratro di una guerra civile a più livelli che si protrasse per altri venti mesi, fino alla fine dell’aprile 1945.