Lo scorso venerdi 14 giugno 2024 a Brissago il “Gruppo per la Memoria di Brissago 1943-1945” ha organizzato, per la prima volta nel Canton Ticino, la posa di quattro pietre d’inciampo in ricordo della famiglia Gruenberger, respinta dalle autorità elvetiche proprio a Brissago il 17 dicembre 1943. In quell’occasione Insubrica Historica ha anche presentato il suo nuovo lavoro: Respinti. Il dramma della famiglia Gruenberger in fuga. Con questo breve contributo, prendendo spunto da quanto è successo qualche mese orsono con l’inchiesta di Fanpage.it, ritorniamo a scrivere sull’importanza di capire e ricordare l’Olocausto, introducendo la figura di Karl Jaspers.
L’Olocausto, una campagna sistematica di sterminio contro gli ebrei europei perpetrata dal regime nazista, un orrore unico nella storia dell’umanità iniziata con l’avvento di Adolf Hitler al potere il 30 gennaio 1933, e conclusosi nell’aprile 1945. Tuttavia, il filosofo esistenzialista svizzero-germanico Karl Jaspers, alle prese con le conseguenze etiche e filosofiche di questa atrocità, ne sostenne il significato al di là della comunità ebraica. Karl Jaspers vedeva la Shoah non solo come un crimine contro gli ebrei, ma come un crimine contro l’intera umanità.
Nato nel 1889 a Oldenburg nella Bassa-Sassonia, Jaspers visse il periodo più tumultuoso della recente storia tedesca. Inizialmente attratto dalla vita da avvocato, si avvicinò alla filosofia, trovando conforto nella ragione e nella logica. Tuttavia, l’ascesa del nazismo mise in discussione il suo quadro intellettuale. Rifiutandosi di giurare fedeltà a Hitler, fu licenziato dalla cattedra di filosofia all’Università di Heidelberg. Nonostante i pericoli, Jaspers rimase ad Heidelberg, praticamente scomparendo con la moglie ebrea Gertrud Mayer per tutto il periodo del conflitto.
Dopo la guerra, Jaspers emerse come una figura centrale nella riflessione intellettuale sulle atrocità naziste. Nella sua opera fondamentale, “Die Schuldfrage” (1946) tradotto in italiano nel 1947 con il titolo La colpa della Germania, approfondì il concetto di colpa tedesca.
Distinse quattro categorie: la colpa penale per coloro che erano direttamente coinvolti, la colpa politica per coloro che avevano permesso il regime, la colpa morale per coloro che erano rimasti in silenzio e la colpa metafisica, una responsabilità umana condivisa per comprendere e prevenire tali atrocità.
La Shoah rappresentò una sfida unica. Jaspers riconobbe la natura senza precedenti del tentativo sistematico di annientare un intero popolo basato esclusivamente sulla sua etnia. La definì una “situazione limite”, un’esperienza così estrema da costringere a rivalutare i propri valori e la propria visione del mondo. Tuttavia, Jaspers sosteneva che la singolarità della Shoah la rendeva un crimine contro l’intera umanità.
I nazisti hanno preso di mira gli ebrei non solo per la loro religione, ma anche in quanto “altro”, l’outsider per eccellenza. Se questa disumanizzazione avesse avuto successo, avrebbe potuto essere applicata a qualsiasi gruppo ritenuto indesiderabile. Questa universalità, secondo Jaspers, è fondamentale per comprendere il vero orrore dell’Olocausto.
Jaspers riteneva che per venire a capo dell’Olocausto fosse necessario uno sforzo collettivo di memoria e impegno intellettuale. I tedeschi, in particolare, avevano un fardello unico. Dovevano riconoscere non solo le azioni dei colpevoli, ma anche il loro silenzio, la loro complicità nel sistema di paura che ha permesso lo svolgersi delle atrocità.
Questa responsabilità si estendeva oltre i confini nazionali. Il mondo doveva affrontare l’oscurità al suo interno, il potenziale di pregiudizio e violenza che aveva alimentato l’Olocausto. Jaspers sosteneva la necessità di una “coscienza illuminata”, una consapevolezza della nostra umanità comune che avrebbe impedito il ripetersi di simili orrori.
La filosofia di Jaspers non si limita a invocare un ricordo passivo. Egli considerava la Shoah come un crudo promemoria delle scelte etiche che gli individui devono compiere di fronte all’oppressione. Chiedeva un “coraggio filosofico” per difendere ciò che è giusto, anche quando è difficile o pericoloso. Questo coraggio si manifesta in diversi modi. Si tratta di parlare contro le ingiustizie, sfidare i pregiudizi e ritenere noi stessi e gli altri responsabili. Richiede un impegno critico nei confronti della storia e del potenziale di tirannie future. Soprattutto, ci impone di riconoscere il potenziale del male in noi stessi e nelle nostre società.
Quale è oggi l’eredità di Jaspers ? L’Olocausto rimane un argomento che sfugge a facili spiegazioni. Il tentativo di Jaspers di catturarne l’essenza attraverso l’indagine filosofica è una testimonianza dell’incessante ricerca di significato da parte dello spirito umano.
Le sue idee continuano a risuonare, ricordandoci che i crimini contro l’umanità non sono eventi isolati. Sono il culmine di un pregiudizio incontrollato e del mancato riconoscimento della nostra comune dignità umana. L’appello di Jaspers a una “coscienza illuminata” ci ricorda che la lotta contro l’odio e la violenza richiede una vigilanza costante e un impegno attivo. Affrontando l’oscurità dell’Olocausto, Jaspers non offre solo un’analisi storica, ma una guida per affrontare le sfide etiche del presente e del futuro. Ci costringe ad essere più che semplici testimoni; ci esorta a diventare parte attiva nella costruzione di un mondo in cui tali orrori non si ripetano mai più.
Jaspers disilluso da come la Germania dell’immediato dopoguerra stava ricostruendo con superficialità, decise comunque di lasciare nel paese. Dal 1947 iniziò ad insegnare all’Università di Basilea, si trasferì poi definitivamente nella cità renana dal 1948, rimanendovi fino al decesso avvenuto all’età di 86 anni, il 26 febbraio 1969. Il prof. Karl Jaspers era dottore honoris causa delle università di Heidelberg, Losanna, Parigi, Basilea e Genova.