Questo succinto contributo offre uno spunto per una seria di conferenze che l’Associazione Forte Mondascia organizza a partire dal 8 aprile 2025 su questo tema. Il relatore è il Colonello SMG Marc-Antoine Tschudi. Il 29 aprile 2025 vi sarà una seconda parte. Mentre il 13. e 25. maggio 2025 sarà la volta del Dr. Gatti di continuare questo interessante tema, concentrandosi sull’L’Islam delle origini fino all’Islam politico contemporaneo.
Le origini storiche di una terra contesa
La storia della Palestina trova le sue radici in un passato millenario. Secondo la tradizione biblica, gli Israeliti guidati da Giosuè, dopo l’esodo dall’Egitto, si stabilirono nella regione intorno al XV secolo a.C. Questa terra, crocevia di culture e civiltà, è sempre stata al centro di contese e dominazioni, caratterizzandosi come uno dei territori più disputati della storia dell’umanità.

Nel corso dei secoli, la Palestina ha visto l’alternarsi di numerose popolazioni e dominazioni: dai Cananei ai Filistei, dagli Assiri ai Babilonesi, dai Persiani ai Greci, dai Romani ai Bizantini, dagli Arabi ai Crociati, dai Mamelucchi ai Turchi ottomani. Quest’ultima dominazione, iniziata nel 1517, si protrasse fino alla Prima Guerra Mondiale, quando l’Impero Ottomano si disgregò e la regione passò sotto il controllo britannico.
Il sionismo e la nascita dello Stato di Israele
La moderna questione palestinese ha le sue radici nel XIX secolo, quando iniziò a svilupparsi il movimento sionista. Fondato ufficialmente da Theodor Herzl nel 1897, il sionismo proponeva il ritorno degli ebrei nella “Terra Promessa” e la creazione di uno stato ebraico in Palestina. Questo movimento nacque come risposta all’antisemitismo crescente in Europa e alla condizione di diaspora in cui viveva il popolo ebraico da quasi duemila anni, in seguito alla distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dei Romani nel 70 d.C.

L’immigrazione ebraica in Palestina (allora parte dell’Impero Ottomano) iniziò a crescere significativamente, specialmente dopo i pogrom nell’Europa orientale. La prima “aliyah” (ondata migratoria) si verificò tra il 1882 e il 1903, seguita da altre ondate nei decenni successivi, intensificatesi dopo l’Olocausto durante la Seconda Guerra Mondiale.

Nel 1917, con la Dichiarazione Balfour, la Gran Bretagna espresse il suo favore per “la creazione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la Società delle Nazioni affidò alla Gran Bretagna il Mandato sulla Palestina (1920-1948), con l’incarico di favorire la creazione di un “focolare ebraico”, rispettando però i diritti delle popolazioni non ebraiche.
Gli anni del Mandato britannico furono caratterizzati da crescenti tensioni tra la comunità ebraica (Yishuv) e quella araba palestinese, entrambe aspiranti alla sovranità sul territorio. La coesistenza pacifica divenne sempre più difficile e si verificarono scontri violenti, come la rivolta araba del 1936-1939.

1963, 3.
Di fronte all’impossibilità di trovare una soluzione condivisa, nel novembre 1947 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò un piano di partizione che prevedeva la creazione di due stati, uno ebraico e uno arabo. Il 14 maggio 1948, al termine del Mandato britannico, David Ben-Gurion proclamò la nascita dello Stato di Israele, il primo stato ebraico indipendente dopo oltre duemila anni.
Le guerre arabo-israeliane e il conflitto palestinese
La nascita dello Stato di Israele fu immediatamente seguita dalla prima guerra arabo-israeliana (1948-1949), quando Egitto, Siria, Libano, Transgiordania e Iraq attaccarono il neonato stato. Contrariamente alle aspettative, Israele non solo resistette ma espanse il proprio territorio oltre quanto previsto dal piano di partizione dell’ONU. La Cisgiordania fu annessa dalla Transgiordania (poi Giordania) e la Striscia di Gaza fu occupata dall’Egitto. Durante questo conflitto, centinaia di migliaia di palestinesi fuggirono o furono espulsi dalle loro case, evento noto come “Nakba” (catastrofe) nella storiografia palestinese.

Negli anni successivi si susseguirono diverse guerre:
- La Crisi di Suez (1956), quando Israele, Francia e Gran Bretagna attaccarono l’Egitto dopo la nazionalizzazione del Canale di Suez.
- La Guerra dei Sei Giorni (1967), in cui Israele occupò la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, il Sinai egiziano, Gerusalemme Est e le alture del Golan siriane.
- La Guerra del Kippur (1973), iniziata con un attacco a sorpresa di Egitto e Siria contro Israele nel giorno dello Yom Kippur.
- L’invasione israeliana del Libano (1982), per combattere l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) che aveva stabilito lì la sua base operativa.
Contemporaneamente alla dimensione interstatale del conflitto, si sviluppò la questione palestinese propriamente detta. L’OLP, fondata nel 1964 e guidata da Yasser Arafat dal 1969, divenne il rappresentante riconosciuto del popolo palestinese. Inizialmente impegnata nella lotta armata contro Israele, negli anni ’80 l’OLP iniziò a orientarsi verso una soluzione diplomatica.

Gli accordi di pace e le prospettive attuali
Un primo tentativo di pace fu rappresentato dagli Accordi di Camp David del 1978, che portarono alla pace tra Israele ed Egitto. Il processo di pace israelo-palestinese ebbe invece un momento significativo con gli Accordi di Oslo (1993-1995), che portarono alla creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese e al riconoscimento reciproco tra Israele e OLP.

Nonostante questi accordi, il processo di pace ha subito numerose battute d’arresto. L’espansione degli insediamenti israeliani nei territori occupati, il terrorismo palestinese, la costruzione del muro di separazione da parte di Israele, la presa di potere di Hamas nella Striscia di Gaza nel 2007 e le periodiche escalation di violenza hanno minato la fiducia tra le parti.
Oggi, la soluzione “due popoli, due stati” continua a essere considerata dalla comunità internazionale come l’unica via praticabile per risolvere il conflitto, ma la sua realizzazione appare sempre più complessa. Gli ebrei nel mondo sono circa 14 milioni, di cui meno della metà vive in Israele.

Le ragioni del conflitto: oltre la religione
Sebbene la dimensione religiosa del conflitto sia spesso enfatizzata, le ragioni sono molto più complesse. Si tratta di una contesa territoriale tra due popoli che rivendicano gli stessi territori sulla base di diritti storici, di un conflitto nazionale tra due movimenti nazionalisti (sionismo e nazionalismo palestinese), di una questione di sicurezza per Israele e di autodeterminazione per i palestinesi.
Il conflitto israelo-palestinese è stato anche utilizzato come pedina in giochi geopolitici più ampi, con potenze regionali e globali che hanno sostenuto l’una o l’altra parte per i propri interessi. Durante la Guerra Fredda, Israele era appoggiato dagli Stati Uniti, mentre i paesi arabi ricevevano sostegno dall’Unione Sovietica. Oggi, Israele mantiene una forte alleanza con gli USA, mentre i palestinesi ricevono sostegno da vari paesi arabi e musulmani.
Conclusione
A più di settant’anni dalla nascita dello Stato di Israele, il conflitto israelo-palestinese rimane una delle questioni internazionali più complesse e apparentemente insolubili. Le ragioni di questo conflitto, che il SMG Tschudi ci aiuterà a comprendere meglio, non sono solo religiose ma anche territoriali, nazionalistiche e geopolitiche.

Fonte: Rivista Militare della Svizzera Italiana