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Confine di Sangue – I fatti dei Bagni di Craveggia 18-19 ottobre 1944

Il 18-19 ottobre 1944, mentre la Repubblica partigiana dell’Ossola crollava, ai Bagni di Craveggia si verificò uno scontro cruciale. Le forze fasciste tentarono di catturare partigiani e civili in fuga al confine italo-svizzero, ma l’esercito elvetico intervenne fermamente, salvando molte vite. Morirono il tenente Federico Marescotti e il partigiano Renzo Coen. “Confine di Sangue”, curato da Raphael Rues con contributi di Vasco Gamboni, Alexander Grass, Nicola Guerini e Fiorenzo Rossinelli, ricostruisce l’episodio attraverso documenti inediti, evidenziando la solidarietà ticinese verso i profughi e il ruolo protettivo della Svizzera neutrale durante la guerra civile italiana.

D: Qual è il contesto storico che porta agli eventi del 18 ottobre 1944 a Craveggia?
R: Nell’autunno 1944, la Val Vigezzo era teatro di scontri tra partigiani e tedeschi-fascisti. La zona di confine con la Svizzera era strategica come ultima via di fuga dopo che l’esperimento della Repubblica Partigiana dell’Ossola, durato 40 giorni, era fallito. I tedeschi e fascisti a partire dal 10 ottobre 1944 avevano rioccupato tutta la regione dell’Ossola, costringendo partigiani e civili alla fuga.

D: Come ha scoperto questa storia e cosa l’ha spinta a raccontarla?
R: Durante ricerche d’archivio ho trovato, unitamente ad Alexander Grass, testimonianze inedite. Mi ha colpito di come pur essendoci un’ampia bibliografia, in particolare da parte di Augusto Rima, mancassa un’analisi di quanto successe al confine. Ho sentito il dovere morale di restituire voce ai fatti e preservare la memoria di quanto accaduto in quella terribile giornata.

D: Chi erano le vittime dei Bagni di Craveggia?
Erano per lo più donne, bambini e anziani della valle Cannobina, Valle Vigezzo, regione di Domodossola ma anche da altre parti d’Italia. Tutti rifugiati nei Bagni credendoli un luogo sicuro. Persone semplici, prevalentemente estranee alla guerra civile, che cercavano solo di sopravvivere alla guerra. La loro unica colpa era trovarsi nel posto sbagliato. A loro vi erano 250 partigiani di svariate formazioni, anche loro già dal 10 ottobre 1944 in fuga. I partigiani si erano ammassati alla frontiera svizzera, nella speranza di poter entrare e scappare alla persecuzione fascista-tedesca.

D: Quale ruolo aveva la vicinanza del confine svizzero negli eventi?
R: Il confine era fondamentale: via di fuga per renitenti e perseguitati, corridoio per rifornimenti partigiani. Questa posizione strategica rendeva la zona obiettivo di controllo ossessivo da parte dei tedesco-fascisti, aumentando la pressione e la violenza sulla popolazione locale.

D: Come descrive la dinamica della rappresaglia?
R: Fu un’azione pianificata e spietata. I soldati piomboroni sui Bagni nel pomeriggio del 18 ottobre 1944. I partigiani stanchi e mal organizzati tralasciarono di mettere delle sentinelle e si fecero sorprendere dal fuoco tedesco-fascista. Un fuoco che durò per almeno 45 minuti, con feriti gravi e morti nelle file partigiane. Non vi sono notizie che i fascisti riportarono perdite.

D: Quali fonti ha utilizzato per ricostruire gli eventi?
R: Ho consultato archivi cantonali e in particolare quello federale a Berna. Essenziale è stato anche l’accesso all’archivio delle forze speciali presso la caserma di Isone. Ho consultato testimonianze dei sopravvissuti, documenti, e rapporti militari svizzeri. I fatti dei Bagni di Craveggia sono dal punto di vista storiografico eccezionali. L’evento di per sè è molto circoscritto, nonostante vi è una profusione di rapporti militari di almento quattro unità differenti, e un archivio fotografico impressionante. Di conseguenza con un evento di “microstoria” nel contesto della lotta di Liberazione in Ossola e in Italia, si arriva ad avere un “case-study” altamente documentato, il che permette di analizzare svariati aspetti rilevanti per la ricerca della guerra civile in tutto il Nord Italia.

D: Quale messaggio vuole trasmettere con “Confine di sangue”?
R: Che la memoria è un dovere civile. Dimenticare significa permettere che l’orrore si ripeta. Voglio che i lettori comprendano come la guerra trasformi luoghi di pace in teatri di morte e quanto sia fragile la nostra umanità.

D: Come vive oggi la Valle Onsernone il ricordo di quella tragedia?
R: Il Museo Onsernonese di Loco ha una mostra dedicata proprio a questi fatti. Regolarmente vi sono commemorazioni sui fatti. Nel luglio 2024 abbiamo provvisto alla posa di una lapida commemorativa, mentre il 12 agosto 2025 abbiamo avuto la posa di tre pietre d’inciampo per i feriti e morti di questo significativo scontro. Questa pubblicazione vuole essere un ponte tra passato e presente, affinchè il dolore diventi fonte d’insegnamento e memoria.

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Informazioni sugli autori

Autore ed editore del lavoro
Raphael Rues (1967). Storico. Fondatore Insubrica Historica.
PhD (2025) sull’occupazione tedesca-fascista Ossola-Lago
Maggiore. Membro del comitato scientifico Casa della Resistenza
Verbania. Scrive regolarmente per il blog del Museo Nazionale Svizzero.

Vasco Gamboni (1948). Storico. Già docente presso la Scuola Magistrale e il Liceo di Locarno. Pubblicista, studioso di storia locale, in particolare della Valle Onsernone. Presidente dell’Associazione Amici di Comologno.

Alexander Grass (1956). Economista. Ha lavorato a lungo per la Radio Svizzera SRF: responsabile redazione esteri (1995), corrispondente Ticino (2002-2018). Ha curato la pubblicazione in tedesco del lavoro di Adriano Bianchi “Il Ponte di Falmenta” (2024).

Nicola Guerini (1967). Colonnello SMG. Comandante Centro Reclutamento 3 al Monte-Ceneri. Già comandante del Centro d’istruzione delle Forze Speciali ad Isone e delle Forze speciali dell’Esercito Svizzero. Curatore della Cappella dei Granatieri sulla piazza d’armi di Isone.

Fiorenzo Rossinelli (1950). Colonnello. Dal 1996-2008 comandante del Corpo delle guardie di confine poi Regione IV. Pensionato dal 2008, ricercatore ed esperto della storia del confine nazionale del Canton Ticino.

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